L'aria non passa ma la scrittura questa mattina si è sciolta. È curiosa la maniera in cui le cose talvolta migliorino solo sottraendo qualcosa.
L'influenza mi tiene ferma e la fatica del corpo contagia la testa. Questa mattina però, tra i ciliegi che hanno iniziato a fiorire in questa zona, mi sono accorta che per rimettermi in viaggio serviva alleggerire il bagaglio. La maggior parte delle relazioni è importante ma non essenziale; soprattutto serve portino qualcosa di più anziché qualcosa di meno. Per questo, se la fiducia viene tradita mi chiudo a doppia mandata e ciò che c'è stato lo conservo con cura ma lo isolo nel passato. Il presente è blindato.
Penso sempre più spesso al saggio di Marcel Mauss sul dono, su come regalare - pensieri, suggerimenti, oggetti - sia un'operazione che, se non tiene conto dell'altro, di cosa lui o lei abbia veramente bisogno, esso sia deleterio. Diviene un atto di puro egoismo.
“Lo stesso dono, avvertiva Marcel Mauss, non è libero da brutte implicazioni, ed è anzi di per sé l’incipit di un lungo indebitamento: chi dona, vorrà qualcosa in cambio, e spesso si tratterà di qualcosa di valore persino superiore a quanto si è dato”. L'ho scritto anche in Wa (Tea).
Non è un periodo semplicissimo. Ometto descrizioni, riduco la narrazione al minimo, taglio anche rami secchi. Resta solo chi deve restare. Ogni volta penso che sarò affranta eppure mi accorgo che non è così.
Quando sento che la fiducia è mal riposta sono rapidissima nel chiudere. È perché chi ha accesso può muoversi ovunque; è come consegnare una torcia infuocata e aprire un sentiero nel mio bosco privato. Chi è distratto, maldestro o poco sensibile rischia di mandarlo in fiamme. A volte anche l'ansia di aiutare, un po' goffamente, porta alle medesime conseguenze. Purtroppo l’intenzione non basta, il risultato, alla fine, è quello che conta. Sono grandi pulizie di primavera e le accolgo con riconoscenza.
Ho aperto Cent'anni di solitudine questa mattina, che resta uno dei miei libri del cuore, e sono tornata a casa, tra le parole di Gabriel García Márquez. La traduzione è vecchia, l'ho cercata ovunque proprio in quanto passata, perché riecheggiava nell'antica lettura ascoltata la prima volta in una riduzione di Rai Radio 3.
Poi ho sfogliato Tokyo tutto l'anno (Einaudi) che sto rileggendo per un motivo preciso (io che non rileggo mai i miei libri). Non solo mi è stata annunciata l'ennesima grande ristampa, ma a fine aprile lo leggerò ad alta voce.
«A fine mese sarà uno spettacolo immenso quello dei ciliegi che si affacciano languidamente sul fossato dalla parte di Kudanshita. Lo saranno anche i riflessi delle loro braccia nodose, ingentilite da nuvole appese di petali e pistilli, sul laghetto del parco Inokashira a Kichijōji dove, sulla scia di un entusiasmo che nella ripetizione non si infiacchisce, ho scattato per piú di dieci anni fotografie tutte uguali della primavera.
Col tempo ho tuttavia scoperto angoli meno noti, come in prossimità della stazione di Takaidō sulla linea Inokashira, in cui il paesaggio pare in miniatura rispetto al piú noto Naka- meguro. Se sono solo i ciliegi a interessare, e non invece tutta la cornice umana di struscio, bancarelle profumate di cibo, chiasso di gioia condivisa, i migliori sono senza dubbio questi scorci, piú intimi e godibili.
La parabola è chiara. «I doveri del vento sono pochi, –scriveva Emily Dickinson, –accompagnare sul mare i navigli, | scortare i flutti, presentare marzo, | significare ovunque libertà». Ed eccolo marzo, s’insedia torturando i ciliegi, rendendo ancora piú fragile questo paesaggio esitante, sempre sbilenco. Precipitare fa parte dell’immaginario dei ciliegi: tutto lo segnala, che niente è destinato a restare e che tutto farà ciclicamente ritorno.
La prima persona singolare sarà sempre diversa. La prima persona plurale –ovvero quella che conta –rimarrà invece per sempre.»
da Tokyo tutto l'anno, Einaudi, p. 71
La primavera è nell'aria e io viaggio leggera. Partiamo insieme?
Laura