L’inizio e la fine sono i momenti più sibillini, gli unici che mostrino del tempo le cuciture. Grazie a essi, ecco che il tempo non appare più solo come un organismo compatto e informe, che semplicemente esiste e insiste. D’un tratto, ci si accorge che quella cosa infinita e mai iniziata, invece inizia e finisce.
Fin da bambina me lo domando come una sorta di ossessione, quel tipo di sensazione fisica che alcuni replicano come un tic - l’indice che accarezza l’ossatura posteriore dell’orecchio, un pollice che scatta - o il ricordo replicato centinaia di volte in un giorno - quello, ad esempio, del gesto di aprire una porticina in solaio che ci terrorizza o di baciare con immenso trasporto una persona.
Dove finisce una cosa? Dove inizia?
Credo si debba a questi momenti parte della magia che fa di una precisa esperienza, porzione di uno dei 25,000 giorni di durata media di una vita, un ricordo, mentre tutti gli altri – che, mentre li attraversavamo, ci parevano tanto più intensi – spariscono, si disintegrano cedendo alla dimenticanza.
Ci penso questa sera che è l’ultima notte di un anno, pericolosamente vicina alla prima mattina di un altro che subito inizia. Scelgo di cominciare questa scrittura proprio oggi, probabilmente per questo motivo. Voglio ricordarla.
Il Capodanno in Giappone ha dalla sua l’incanto della tradizione. Tutto è antico, tutto parla il linguaggio della generazione precedente. L’ho ritrovato, parola per parola in 108 rintocchi di Yoshimura Keiko, completamente ambientato in questo periodo dell’anno. Sono giorni speciali.
Queste lettere arriveranno con una cadenza irregolare, circa una volta a settimana. Qui fermerò alcune riflessioni nate da altre già scritte su Facebook o Instagram, mi concentrerò su alcune, qui pubblicherò anche interamente gli articoli scritti per Repubblica, con cui ho deciso di collaborare per l’anno che finisce e quello che viene. Questa newsletter la sto apparecchiando come una tavola, un pezzo per volta, i bicchieri, le posate, attenta a non schiacciare con gli occhi la fame.
Con la sensazione di naufragio che conducono con sé sempre le parole, vi auguro un passaggio speciale, tra la fine e l’inizio delle cose. Di un anno, della soglia di casa, di una relazione, di una passione tutta materiale. Che sia consapevole ogni momento, cosicchè - bello o brutto che sia - si trasformi in memoria. L’eredità di ogni vita è tutta qui.
Buon anno よいお年を~ (yoi o-toshi wo) si dice in giapponese prima della mezzanotte e あけましておめでとうございます (akemashite omedetō gozaimasu) subito dopo. È, letteralmente, l’anno che si augura e aspetta e poi l’anno che si apre.
Tantissimi auguri di buone feste,
Laura