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- In questi undici anni di attività, quante lettere sono arrivate?
- Più di 60,000.
- E a chi sono rivolte?
- Mah, il contenuto varia moltissimo. Si va da storie anche sconnesse e disordinate sulla vita quotidiana a cartoline indirizzate a un amore mai dichiarato. Si scrive dei desideri e si parla al sé futuro. I destinatari più frequenti però sono i defunti. Li si informa del matrimonio dei figli e dei nipoti, si chiede loro protezione dal cielo.
- Ne ricorda qualcuna in particolare?
- È sempre doloroso inviare una lettera a chi che è scomparso, ma quando a morire è qualcuno che avrebbe dovuto invece sopravviverci, leggere le parole indirizzate a quel qualcuno è straziante. C’è una nonna che ha perso il nipote in mare e che gli scrive ogni mese: «Yuta, per favore, torna a casa presto, tua mamma è inconsolabile, Yuta torna!». Oppure una donna che scrive all’amato perso in guerra: è passato così tanto tempo, eppure ancora soffre e lo aspetta.
- Lei, peraltro, è stato bambino durante la guerra.
- Ero in quinta elementare il giorno della resa del Giappone. C’erano fame e carestia, e l’isola era una base della marina militare quindi venivamo spesso presi di mira. Ho ricordi nettissimi di fughe pazze per salvarci dalle bombe.
- Deve essere stata dura…
- Eppure, sa, quella sull’isola è stata anche un’infanzia spensierata, ero il più monello del gruppo, il leader tra gli amichetti, ci divertivamo un mondo.
- Perché è diventato postino?
- Volevo rimanere a vivere ad Awashima e quella era una maniera per continuare a farlo. Quando è stato pubblicato l’annuncio, ho subito fatto richiesta. Ho lavorato nell’ufficio postale di Awashima per quarantacinque anni. Non mi sono mai allontanato da qui.
- Le piaceva il suo lavoro?
- L’ho amato moltissimo, mi ha dato la possibilità di incontrare tante persone e di ascoltare le loro storie. Salivo sulle navi e scendevo per raccogliere e recapitare la posta nelle isole limitrofe e ogni volta mi fermavo a chiacchierare. È stato un periodo bellissimo della mia vita.
- Il contenuto delle lettere varia moltissimo. Lei le ha lette tutte?
- Sì, tutte e 60,000. Appena arrivate, vi apposto sopra il timbro con la data e le colloco tra gli scaffali.
- Come raccontano i tempi queste lettere?
- Ecco, ad esempio in quest’epoca sono molti gli anziani che vengono assistiti a casa e spesso riceviamo messaggi angosciati dalle famiglie («Sono stanco», «Sto attraversando un periodo così difficile assistendo mio padre»). Eppure, in mezzo a tutta questa tristezza, l’altro giorno ho ricevuto una lettera incoraggiante che recitava più o meno così: «A te che ti sei ammalata di Alzheimer, chissà se un giorno ti dimenticherai anche di me. Siamo sposati da 37 anni e voglio custodire a tutti i costi la felicità di essere al tuo fianco, accanto alla persona che amo. Continuerò a sorridere, sorridere, sorridere e poi sorridere ancora. Restiamo insieme, ridendo dei giorni che ci restano e rimanendo in salute per sempre.»
- Prima, per caso, mi sono imbattuta nella cartolina di una ragazza che parlava di maltrattamenti subiti a scuola…
- Sì, arrivano molte lettere da vittime di bullismo, il che rappresenta ancora oggi un grande problema sociale. Capita che alcuni siano stati vessati pesantemente da ragazzi ma i genitori e gli insegnanti, anziché sostenerli, li accusarono di non reagire al meglio sicché non poterono che rassegnarsi alla situazione. «Voglio lodare me stesso, dirmi bravo, per essere riuscito a sopportato il bullismo di allora» ha scritto qualcuno. Una donna invece ha scritto: «Per me è stato così doloroso subire il trattamento crudele di mia suocera. Ma adesso quella donna cattiva è molto anziana e non più autosufficiente e sono io a doverla assistere. È un lavoro ingiusto ed enorme». Capisce, Laura-san? Sono emozioni che non si possono esprimere ad alta voce, perché sconvenienti, ma io credo che l'Ufficio postale alla deriva sia un luogo in cui potersi aprire, per sentirsi ascoltati e alleggerirsi così il cuore.
- Nell’era dei cellulari trovo commovente che ci siano tante persone che prendono carta e penna e scrivono a mano a qualcuno che non possono raggiungere diversamente.
- Sì, davvero lo è. È per questo che nonostante i miei 90 anni e il corpo che mi sta abbandonando, continuerò a curare l’Ufficio postale alla deriva finché sarò in vita. Nella speranza che resti aperto anche dopo la mia morte, ho fatto sì che l’artista Saya Kubota ereditasse il terreno e l'edificio dell'Ufficio postale alla deriva. Ogni anno migliaia di persone vengono a leggere la corrispondenza naufragata qui, e migliaia di altre persone continuano a scrivere ogni giorno a sconosciuti incontrati per caso su un treno, ai giocattoli dell’infanzia, ai sé futuri, alle proprie madri. È un luogo talmente amato, va protetto.
Chiacchieriamo a lungo mentre intorno a noi, come fossimo al centro di una giostra, uomini e donne di età molto diverse sfilano lettere e cartoline dalle cassette e dagli scaffali, si seggono sugli sgabelli, asciugano le proprie lacrime, scrivono e imbucano nuove scritture, acquisendo così tutti i punti di vista del mondo.
Perché credo che il significato universale di questo minuscolo ufficio postale sia proprio qui, nel tuffarsi d’un tratto nella vita degli altri, nel tramutarsi d’un tratto in figli, madri, padri, bambini piccoli, anziani, nonni, amici, compagni di scuola, animali domestici, oggetti cari, se stessi passati o futuri, nel dare uguale credito al punto di vista di chi scrive e di quel qualcuno a cui sono indirizzate le parole, nel nuotare in queste acque malferme e nel sentire immensamente pur non avendo direttamente nulla a che fare con le vicende.
Mai come all’Ufficio postale alla deriva ho sentito l’umanità tanto vicina, nella sua pluralità minuta di punti di vista, tutti parziali, tutti fondamentali anche quando opposti. Mai ho voluto tanto bene agli sconosciuti.
FINE 2a parte